Caso Saman, motivazione sentenza
Sentenza caso Saman Abbas emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia il 19 dicembre 2023

NOVELLARA (Reggio Emilia) – “Gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia” hanno “letteralmente accompagnato la figlia a morire” e non “si esclude che sia stata” la madre “l’esecutrice materiale”. A darne notizia è Ansa.

E’ quanto si legge nelle oltre 600 pagine delle motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Reggio Emilia che motiva le responsabilità del padre e della madre di Saman Abbas, la pachistana uccisa, entrambi condannati all’ergastolo. I giudici hanno condannato anche lo zio a 16 anni.

La decisione di uccidere Saman Abbas sarebbe stata concordata dai genitori nel corso delle telefonate con lo zio Danish Hasnain e questo lo dimostrerebbero le condotte dei due in occasione dell’uscita di casa con la figlia, documentate dalle telecamere la notte del 30 aprile 2021. “Anzitutto il fatto che – lo si può affermare con sconfortante certezza – gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire”.

“Può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l’omicidio della loro stessa figlia, la presenza di entrambi sul luogo del delitto, e il comprovato apporto fornito alla realizzazione dell’evento”.

Per i giudici (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “eloquenti ed espressivi” sono le movenze e il contegno dei due, ripresi dalle telecamere del casolare di Novellara, la notte del 30 aprile 2021. La madre, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman – “per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale”. Il marito, che “si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità di ciò che sta accadendo, ma che lui resta ad osservare, senza far nulla”. Confermando così “la sua adesione psicologica piena al fatto”.

Incongruenze, bugie, accuse false: sono alcuni dei modi con cui la Corte di assise di Reggio Emilia definisce le parole del fratello di Saman, smontando la figura di quello che è invece stato un testimone chiave dell’accusa. I giudici parlano di “intrinseca inattendibilità e inaffidabilità del narrato” del ragazzo, minorenne all’epoca dell’omicidio e ribadiscono in più occasioni come “nessun riscontro, neppure parziale” sia stato trovato alle dichiarazioni di quello che invece è stato un testimone dell’accusa, in particolare nei confronti di zio e cugini, questi ultimi due assolti dalla Corte.

“Tacendo – sottolineano in un passaggio della motivazione – della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati La sentenza arriva alla conclusione di ritenere “fondato il sospetto che le sue dichiarazioni siano state condizionate dalla paura di essere coinvolto lui nella vicenda e dalla costante preoccupazione di tutelare i genitori, nella convinzione, invero fondata, di essersi ormai conquistato la fiducia degli inquirenti, accettando per tal via anche di accusare soggetti come Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, di cui aveva professato prima l’innocenza”